La pandemia COVID19 ha intensificato le lamentele da parte dell’opinione pubblica contro le aziende farmaceutiche, accusate di anteporre i profitti alle persone. Tuttavia, con questa denuncia, oltre che accusare le aziende l’opinione pubblica incrimina anche se stessa: non avrebbe dovuto progettare il settore farmaceutico in modo tale da costringere le aziende a scegliere tra i profitti e la cura delle persone. Idealmente, l’opinione pubblica non dovrebbe essere interessata a cosa le aziende farmaceutiche antepongano, perché le azioni di queste dovrebbero essere le stesse in ogni caso. Infatti, i loro profitti dovrebbero essere allineati con la salute umana, e di conseguenza il loro guadagno proporzionale al benessere che generano. Attraverso gli studi empirici, il pensiero creativo e la sperimentazione sociale, si dovrebbe riformare il settore farmaceutico in modo da prevenire efficacemente ed economicamente la morbilità e la mortalità, il peso della malattia e gli anni di vita perduti.

Un primo passo verso questa riforma è rappresentato dall’Health Impact Fund, un fondo che diversi governi stanno istituendo e finanziando congiuntamente. Tale Fondo inviterebbe gli innovatori a registrare nuovi farmaci per partecipare a dieci premi annuali consecutivi, che verrebbero ripartiti tra i prodotti registrati in base ai guadagni ottenuti in termini di salute. In cambio, questi prodotti dovrebbero essere venduti ad un costo pari o inferiore a quello di produzione e concessi gratuitamente in licenza per la produzione di medicinali generici dopo la scadenza dei dieci anni. Una metrica comune per confrontare e aggregare i guadagni in termini di salute tra malattie, farmaci, demografia, stili di vita e culture è quella degli anni di vita qualitativamente vissuta (QALYs), ampiamente utilizzati e perfezionati negli ultimi decenni.

Supponiamo, per esempio, di avviare l’Health Impact Fund con premi annuali di 5 miliardi di euro; una cifra che corrisponde a meno dell’1% degli 800 miliardi di dollari che il mondo spende ogni anno per i farmaci brevettati, e che potrebbe essere facilmente garantita dai Paesi che attualmente rappresentano un terzo del prodotto globale lordo se contribuissero con lo 0.02% del proprio reddito nazionale. I Paesi ricchi che decidessero di non contribuire al Fondo non godrebbero dei suoi benefici: a loro non verrebbe applicato il vincolo dei prezzi dei prodotti registrati. Ciò darebbe agli innovatori un motivo in più per registrare un prodotto – che potrebbero continuare a vendere a prezzi elevati in quei Paesi ricchi non aderenti –  e ai Paesi ricchi un motivo per contribuire all’Health Impact Fund.

Ogni prodotto registrato parteciperebbe poi a distribuzioni annuali di premi per un totale di 50 miliardi di euro in 10 anni.  Gli innovatori commerciali registrerebbero il proprio prodotto presso il Fondo solo se sicuri di poter realizzare profitti superiori ai costi da essi sostenuti per le spese di ricerca e sviluppo (R&S). L’ammontare di questi costi fissi è molto controverso; l’Health Impact Fund, invece, attraverso il suo sistema annuale di premi, farebbe luce su quali possibili guadagni gli innovatori sarebbero disposti ad accettare. Per esempio, se il Fondo dovesse attrarre 20 prodotti, con due che entrano e due che escono ogni anno, si dimostrerebbe che le aziende farmaceutiche considerano la prospettiva di 2,5 miliardi di euro di guadagni in dieci anni come ragionevole – né come un colpo di fortuna né come un’avversità. Inoltre, per rispondere alle preoccupazioni dei finanziatori o degli innovatori, si potrebbe stabilire un tasso di ricompensa massimo e/o minimo per QALY.

Un innovatore commerciale registrerebbe il proprio prodotto presso il Fondo non solo se convinto di ottenere profitti rispetto ai costi di R&S, ma anche se sicuro che tali profitti siano maggiori rispetto a quelli ottenuti attraverso il monopolio convenzionale di brevetti. Questo calcolo comparativo è specifico per il prodotto. L’Health Impact Fund indurrebbe gli innovatori a sviluppare prodotti che possono generare grandi guadagni per la salute, ma che non possono essere venduti in grandi quantità a prezzi elevati. Si tratterebbe principalmente di farmaci per malattie che colpiscono soprattutto i poveri, come la tubercolosi, la malaria, le malattie tropicali trascurate individuate dall’OMS e le infezioni fungine invasive. I nuovi farmaci avrebbero già potuto produrre enormi guadagni contro queste malattie, tuttavia gli innovatori commerciali dedicano a queste malattie meno dello 0.5% della loro spesa in R&S, proprio perché un nuovo prodotto, per quanto efficace, non potrebbe generare grandi vendite con elevati ricarichi di prezzo.

L’Health Impact Fund concentrerebbe gli sforzi commerciali di R&S non solo su malattie importanti e poco studiate ma trasformerebbe anche il modus operandi delle aziende farmaceutiche. Un’azienda che guadagna attraverso la semplice vendita di farmaci antimalarici non deve allarmarsi per il fatto che la malaria infetta ancora oltre 200 milioni di persone e ne uccide mezzo milione ogni anno. Al contrario, un’azienda che guadagna in maniera proporzionale alla riduzione del peso della malattia che il suo farmaco comporta, si sforzerebbe di ridurre la diffusione della malaria nel modo più rapido ed economico possibile. Questo obiettivo influirebbe sia sullo sviluppo che sulla distribuzione di nuovi farmaci.

Per un innovatore che trae profitto dai sovrapprezzi protetti dal monopolio, i prodotti più lucrativi sono tipicamente quelli di mantenimento che prolungano la vita dei pazienti o che migliorano le loro condizioni e prestazioni senza interrompere la diffusione della malattia. Dopo aver stabilito il prezzo che massimizza il suo profitto, l’innovatore si sforza di vendere il farmaco a tutti coloro che possono permettersi di comprarlo per tutta la vita.

Al contrario, un innovatore il cui profitto dipende dal guadagno in termini di salute che il suo farmaco produce, vorrebbe sviluppare un prodotto di prevenzione (vaccino) o una cura che sia in grado di sradicare la malattia. In collaborazione con i sistemi sanitari nazionali, le organizzazioni internazionali e le NGO, un tale innovatore cercherebbe di costruire attorno al suo prodotto una forte strategia di salute pubblica. Il suo obiettivo finale non sarebbe quello di essere utilizzato da milioni di pazienti, ma da nessuno: ciò significherebbe che la malattia è stata debellata. Se, per esempio, riuscisse a sradicare la malattia durante il settimo anno di registrazione al Fondo, potrebbe godere della gratitudine del mondo e raccogliere ancora tre alti premi per i suoi prossimi progetti di ricerca negli anni rimanenti.

Tenendo conto che fino ad adesso, con tutta la nostra sofisticazione scientifica e con i molti miliardi spesi in farmaci, siamo riusciti a debellare solamente una malattia – il vaiolo 40 anni fa- è opportuno chiedersi quale di questi due incentivi dare ai nostri innovatori farmaceutici.

Le ricompense del monopolio trasformano gli innovatori in spie gelose che perlustrano il mondo alla ricerca di possibili trasgressori di brevetti che potrebbero utilizzare la loro innovazione senza licenza. L’Health Impact Fund, invece, fa il contrario: incoraggia gli innovatori a promuovere attivamente l’uso diffuso ed efficace della loro innovazione per aumentarne l’impatto. Gli innovatori possono aumentare i propri guadagni aiutando gli utenti ad ottenere il massimo dal loro prodotto e anche sovvenzionandone l’uso per un impatto aggiuntivo tra i più poveri.

A questo proposito, l’Health Impact Fund è anche superiore alla licenza obbligatoria che si affida ai produttori di generici per ridurre il prezzo di vendita. L’obbligo di licenza resta sempre in bilico tra il prezzo e la promozione: più economico è il prodotto, minori sono gli incentivi a garantire che questo raggiunga in condizioni ottimali luoghi remoti e impoveriti, con chiare istruzioni nelle varie lingue nazionali e un supporto di aderenza per i pazienti e il personale medico. L’Health Impact Fund evita questa tensione perché, dando agli innovatori la possibilità di avere guadagni più alti di quelli derivanti dalla vendita al dettaglio di un farmaco, fornisce agli innovatori incentivi sia per l’accessibilità economica, sia per una più ampia distribuzione ed un uso ottimale del loro prodotto. In questo modo il Fondo conferisce un valore alla sopravvivenza e alla salute delle persone povere che è maggiore di quello che esse – non potendosi permettere l’acquisto di farmaci costosi – attribuiscono a se stesse. Fare ciò non solo è un imperativo morale, ma è anche nell’interesse pubblico, soprattutto per quanto riguarda le malattie trasmissibili, che avrebbero un ruolo centrale nell’Health Impact Fund. Contenendo e idealmente sradicando la malattia tra i poveri ci proteggiamo tutti dalla minaccia che essa rappresenta, compresa quella di nuovi ceppi resistenti ai farmaci.

L’Health Impact Fund è migliore del sistema attuale delle licenze obbligatorie anche per un altro motivo: non fa sprofondare gli innovatori nell’incertezza di poter coprire le loro spese di R&S, stimate in oltre 1 miliardo di dollari per ogni nuovo farmaco approvato. Non è saggio dire agli innovatori commerciali che se una delle loro innovazioni è davvero importante, gli Stati se ne approprieranno con una compensazione simbolica. Promuovere l’accesso ai farmaci in un modo che ne mina l’innovazione non è un metodo più efficace di quello che stiamo usando ora, ossia promuovere l’innovazione in un modo che però ne compromette l’accesso. Nessuno dei due regimi offre ciò che realmente vogliamo: grande innovazione e accesso universale ai farmaci. Se sleghiamo il prezzo dei farmaci dai costi fissi di R&S – cosa che dovremmo fare – allora dovremmo anche slegare i ricavi degli innovatori dal prezzo di vendita. L’innovazione fiorirà solo se gli innovatori potranno coprire i loro investimenti in R&S e realizzare un profitto ragionevole.

L’Health Impact Fund si basa su un’idea semplice: se lo scopo del settore farmaceutico è quello di contribuire a ridurre il peso delle malattie, allora è per questo, e non per altro, che dovremmo pagare.

Ridurre l’incidenza delle malattie attraverso l’uso i farmaci è complicato e comporta molte fasi – dalla ricerca di malattie specifiche e l’analisi computerizzata delle molecole, agli studi clinici, fino all’incentivazione di diversi pazienti in molti paesi e culture ad usare un farmaco in modo ottimale. Tutte queste fasi – importanti per la riduzione dell’incidenza delle malattie-sono interdipendenti e presentano un problema logistico molto complesso. Un progresso che sia ottimale richiede non solo la risoluzione di molti compiti diversi, ma anche un coordinamento armonioso tra le varie soluzioni adottate. Le decisioni precoci in merito alla concezione, il perseguimento o la conclusione di progetti di R&S, dovrebbero già anticipare le sfide di un utilizzo ottimale del prodotto: come si identificheranno i pazienti che ne possono beneficiare maggiormente e, nel caso di malattie infettive, quelli il cui trattamento rapido contribuirebbe maggiormente a ridurre l’infezione? In che modo il prodotto raggiungerà e avvantaggerà i pazienti in aree remote e impoverite? Come verrà costruita una forte strategia di salute pubblica attorno al prodotto, in collaborazione con i sistemi sanitari nazionali, le organizzazioni internazionali e non governative? Qual è il piano migliore per l’eradicazione globale della malattia?

Queste grandi sinergie potenziali suggeriscono che l’Health Impact Fund creerebbe attori in grado di gestire in modo ottimale un progetto completo dalla R&S alla commercializzazione del prodotto, magari affidando alcuni compiti, come quello della produzione, ad enti esterni. Ci sono già molte aziende farmaceutiche che sono ben posizionate per adattarsi a questo nuovo ruolo. Altri attori potrebbero essere alcune ONG o partnership per lo sviluppo di prodotti.  L’Health Impact Fund sarebbe aperto a tutti e, nel tempo, produrrebbe innovatori farmaceutici che eccelleranno nel raggiungimento di obiettivi in salute efficaci ed economici.

Non sarebbe stato utile se durante questa crisi di COVID19 noi avessimo formato tali attori per un controllo efficace delle malattie? Invece ciò con cui ci ritroviamo ora è solamente un terribile divario tra l’opinione pubblica – che attende disperatamente che la pandemia venga posta sotto controllo nel minor tempo possibile –  e gli innovatori farmaceutici- formatisi per guadagnare con i brevetti di monopolio. Il risultato è prevedibile: si pagheranno miliardi alle aziende farmaceutiche, il COVID19 continuerà a diffondersi e nella migliore delle ipotesi ci sarà solo una debole correlazione tra i pagamenti individuali e i guadagni ottenuti in termini di salute.

Si potrebbe ideare un progetto pilota incentrato esclusivamente su COVID19, tuttavia si ritiene che progressi migliori possano essere raggiunti con un progetto che, come lo stesso Health Impact Fund, non sia specifico per una sola malattia. Noi propugniamo la creazione di un progetto pilota da 100 milioni di dollari che sostenga l’approccio dell’Health Impact Fund e che sia pionieristico nella misurazione e nella ricompensa dei guadagni in termini di salute. Gli innovatori – anche quelli non commerciali, come l’iniziativa Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi) o la TB Alliance – sarebbero invitati a proporre iniziative che consentano loro di ottenere ulteriori guadagni sanitari nei paesi o nelle regioni povere con un farmaco esistente o nuovo senza costi aggiuntivi. Forse potrebbero proporre uno dei loro farmaci in versione pediatrica o termostabile a prezzi accessibili oppure una combinazione a dose fissa. Tra le varie proposte, verrebbero selezionate le quattro o cinque più promettenti che avrebbero tre anni di tempo per essere realizzate, con una divisione del premio in proporzione ai guadagni in salute ottenuti da ciascun prodotto.

Un progetto pilota di questo tipo porterebbe reali guadagni in termini di salute per le popolazioni più povere che sono particolarmente trascurate dai sistemi sanitari esistenti. Inoltre, anticiperebbe e preparerebbe il più ambizioso Health Impact Fund, dimostrando che i benefici per la salute possono essere identificati in modo affidabile e che gli innovatori farmaceutici sono in grado e disposti a generare ulteriori benefici per la salute in modo altamente efficiente in termini di costi. Una volta lanciato e reso disponibile il progetto pilota per studi dettagliati, i governi potrebbero prendere decisioni meglio ponderate su un sostegno all’Health Impact Fund. Per la sua istituzione sarebbero sufficienti anche pochi grandi Paesi; naturalmente, in caso di successo, esso potrebbe essere incrementato nel tempo per attrarre una quota maggiore di nuovi farmaci.

Le medicine sono una delle più grandi conquiste dell’umanità: ci hanno aiutato a migliorare drasticamente l’aspettativa di vita e la salute, nonché a ottenere enormi risparmi sui costi grazie a un minor numero di giorni di malattia e di ricoveri ospedalieri. Con la proposta di riforma dell’Health Impact Fund, il settore farmaceutico potrebbe ottenere nuovi successi. E così, la catastrofe generata dal COVID19 potrebbe essere un esempio per incentivare tutti a una nuova rinascita, con enormi progressi nel campo della salute.

Thomas Pogge

Traduzione di Alessandra Tisi

sursa: Linked in

 

Date personale: Mă numesc  Iulius-Paul Negoiţă și sunt fiul al preotului Iulian Negoiţă şi al Anicăi, de profesie economistă. M-am născut în comuna Vintilă-Vodă, la data de 19 iunie 1975 și sunt căsătorit cu Mirela, din anul 1997. Avem doi copii, Matei  și Andrei. Referințe studii: Am absolvit Seminarul Teologic „Kesarie Episcopul” din Buzău și sunt licențiat al Facultăților de Teologie ( Patriarhul Iusitian) și Farmacie (Carol Davila) Am urmat şi cursuri de formare în  Islanda, Cipru, Marea Britanie, Letonia  și  Germania. Am obținut, în 2002, titlul de doctor în Teologie la Universitatea  București. Vorbesc Engleză, Franceză, Spaniolă și am cunoștințe medii de Italiană și Rusă. La nivel de citit și tradus mă descurc și în Germană și Greacă. Activitate profesională: Domeniul ecleziastic: Sunt preot din anul 1997.  Întâi am fost  la Parohia Gherăseni și din 2002 sunt preot la Parohia Sfântul Apostol Andrei din Cartierul Micro 14 - Buzău. Am primit toate gradele onorifice până la cel de iconom stavrofor, iar în perioada 2010-2014 am fost judecător la Consistoriului Mitropolitan. Conform celor relatate în lucrarea 500 de personalități buzoiene. Cea mai importantă realizare pentru cariera de preot este considerată a fi contribuția la construirea ansamblul bisericesc din Cartierul Micro XIV, în centrul căruia se află Biserica „Sfântul Apostol Andrei”. Domeniul didactic: Am fost cadru didactic la Seminarul Teologic, Liceul de Artă și Colegiul Economic Buzău. Am funcționat la Inspectoratul Școlar Județean Buzău. Am fost în echipa de conducere și în corpul de inspector. Am fost purtător de cuvânt al instituției, pe toată perioada activității, adică timp de 8 ani. Din 2010, am fost director la  Palatului Copiilor Buzău, Școala Postliceale Sanitare Buzău și Colegiul Nicolae Paulescu din Râmnicu Sărat. Domeniul  farmaceutic: Ca farmacist, activez, încă de la înființare, în cadrul lanțului independent de farmacii „Iris Pharm”. Activitate filantropice : Am acordat burse de studiu pentru elevi care au urmat cursuri universitare și postliceale în domeniul medical, premii literare și artistice în cadrul concursurilor de profil și am susținut ameliorarea situației materiale a unor familii sărace. De asemenea, am susținut financiar apariția cărților de debut ale unor autori tineri și lucrări ale unor scriitori consacrați. Am susținut financiar și apariția unor lucrări bilingve pentru comunitatea rromă. Activitate civică : Am candidat în două rânduri la Consiliul Local Buzău și am obținut două mandate de consilier independent (2008-2012; 2012-2016). Am fost președintele Comisiei de Cultură, Culte, Minorități, Sport, Sănătate şi Asistență Socială. Din poziția de independent, în anul 2012 am candidat pentru funcția de primar al Municipiului Buzău, clasându-se al doilea, după candidatul USL, obținând un procent de 30,5% din voturi, respectiv 17.404 voturi. Activitate publicistică: Sunt editor la Editura Omega, calitate în care am editat și tipărit la tipografia proprie un număr peste 500 de lucrări. Ca jurnalist am fost membru în comitetul de redacție, editorialist sau publicist la  Ziarul Lumina, Jurnalul National, Revista Teologică, Mousaios, Glasul Adevărului, Analele Buzăului, Opinia, Sănătatea Buzoiană, Cronica de Buzău, Educația creștină, Lacrima, Viața Buzăului, Șansa Buzoiană, Tezaur. Am fost realizator de emisiuni radio și televiziune. Sunt autor sau coautor al mai multor volume de eseuri, proză, spiritualitate, istorie, pamflet politic: 40 de rânduri, Marchitanii roșii, Prin grădina lui Ilf și Petrof, Monografia Bisericii Adormirea Maicii Domnului din Comuna Gherăseni, Cuvânt spre Cer - antologie de poezie religioasă ( coautor), Prin spini, Lectura șoaptei, Pagini de istorie locală.  Afilieri:  Membru al Uniunii Scriitorilor din România, Filiala Bucureștii - Secția Proză. Membru al Uniunii Ziariștilor Profesioniști din România - Filiala București Membru al Colegiului Farmaciștilor din România - Colegiul București Pasiuni Călătoriile, arta, creșterea animalelor și cultivarea plantelor.

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